Aaron Nimzowitsch: "Come sono diventato un Gran Maestro" - Parte 1

Aaron Nimzowitsch: "Come sono diventato un Gran Maestro" - Parte 1

Avatar di Franciplus
| 0

Vorrei presentarvi un'opera di un pensatore rivoluzionario che ha profondamente influenzato la strategia posizionale degli scacchi: Aaron Nimzowitsch. Questo testo, in particolare, è una testimonianza preziosa del suo pensiero.

Pubblicato in russo nel 1929 in sole 8.500 copie, rappresenta un contributo essenziale alla teoria scacchistica del periodo. La sua prosa chiara e incisiva guida il lettore attraverso principi strategici fondamentali, illustrandoli con esempi concreti e analisi approfondite di partite.

Questa traduzione, realizzata con cura e fedeltà all'originale, permette ai lettori contemporanei di accedere a un'opera che, pur essendo meno conosciuta rispetto ai suoi classici "Il mio sistema" e "La pratica del mio sistema", merita di essere riscoperta. Una traduzione parziale del testo è presente nel libro di Raymond Keene "Nimzowitsch, formidabile innovatore", pubblicato da Prisma Editori.

Vi invito, quindi, ad intraprendere questo straordinario viaggio nel pensiero di uno dei più grandi maestri della scacchistica moderna attraverso questa sua opera. Sono sicuro che questa lettura sarà per voi un'esperienza stimolante e arricchente.


Aaron Nimzowitsch

Come sono diventato un Gran Maestro





I



Sotto quale prospettiva è stato scritto questo libro?



Un autore di scacchi, nella misura in cui si approccia con coscienza al proprio lavoro, deve sempre porsi una domanda fondamentale ogni volta che si accinge a scrivere una nuova opera (o, più precisamente, a pianificarla): “Il libro che sto per scrivere potrà offrire qualche valore reale a chi lo studia, e se sì, in cosa consisterà precisamente tale valore?” Se la risposta a questa domanda risulta negativa o “quasi negativa,” l'autore dovrebbe rinunciare del tutto al progetto scelto o modificare radicalmente il piano di lavoro.

Qualcosa di simile è accaduto anche a me. Il mio piano iniziale era di creare una sorta di studio sull'evoluzione di un certo maestro di scacchi (in questo caso, di me stesso). Consideravo fondamentale analizzare questa evoluzione sotto un punto di vista “psicologico,” poiché, nello sviluppo di qualsiasi personalità, i fattori psicologici giocano un ruolo significativo. Ignorarli consapevolmente non può che condurre a un'esposizione forzata e artificiosa. Inoltre, sembrava che un'analisi ponderata di questioni come: “Quali esperienze soggettive mi hanno fatto dubitare del potere magico degli attacchi violenti?” oppure “Quale momento psicologico ha dato il primo impulso all'idea della possibilità di un sistema?” non potesse essere del tutto priva di valore didattico.

Tuttavia, non sono mancati dubbi ed esitazioni, che alla fine hanno portato a uno scetticismo. Se un abito di qualcun altro non può essere indossato senza adattamenti e modifiche adeguate, tanto più questo vale per le esperienze interiori altrui. Dopotutto, anche il processo di fascinazione e delusione avviene individualmente, a seconda del carattere.

Alla luce di queste considerazioni, ho deciso di utilizzare i dati biografici del “nostro” eroe in modo utilitaristico, come pretesto esteriore per offrire consigli pratici. Pertanto, l'unico scopo di questo libro è la ricerca di conclusioni oggettivamente utili.

II

Primi passi - Non una deviazione dal tema, ma una riflessione pratica sull’età più adatta per il primo approccio alle basi del gioco degli scacchi.

Avevo 8 anni quando mi sono avvicinato per la prima volta agli scacchi. Nonostante il fatto che abbia iniziato immediatamente a progredire e che questo avanzamento, a quanto pare (!?), sia continuato anche in seguito, ora posso affermare con sicurezza che il mio sviluppo scacchistico sarebbe stato più armonioso e, soprattutto, meno doloroso, se avessi imparato a giocare non da bambino, ma in età adolescenziale. Il lettore capirà presto che il mio sviluppo, fino al 1906 (sono nato nel 1886), è stato estremamente unilaterale: forte capacità combinativa a scapito del gioco posizionale. Tutto ciò si sarebbe potuto evitare senza danni se solo avessi aspettato ed imparato a giocare a scacchi in un'età più matura.

A questo punto vorrei discutere con il lettore di una questione che non è priva di interesse, sia generale che specificamente legata alla pedagogia scacchistica. Vale a dire: quale idea si cela dietro la pretesa apparentemente ragionevole che un bambino, se possibile, non perda un minuto di tempo, ma impari costantemente con saggezza? Se questa pretesa è dettata esclusivamente da un sentimento di premura verso il bambino, allora perché, mi chiedo, nelle scuole occidentali si continua a insegnare, ad esempio, il latino? E perché, nella borghese Europa, il corso di studi (per esempio nella famosa Facoltà di Giurisprudenza!) è quasi interamente costituito da un fardello inutile che viene immediatamente scartato una volta superati gli esami?

E perché, tornando dallo studente di legge a quello delle scuole primarie, ogni tipo di attività noiosa e monotona, come lo studio delle “basi” e degli “elementi”, è considerata altamente adatta ai bambini, mentre un adulto si ribellerebbe se gli venisse proposto di dedicarsi a simili attività poco interessanti?

Consentitemi di raccontare un tratto caratteristico della vita quotidiana che può aiutarci a comprendere la questione. Nel centro Europa, negli ambienti della piccola borghesia, è diffusa l’idea che una donna non debba mai stare con le mani in mano in nessuna circostanza. Perciò, anche quando ci sono ospiti, le donne cuciono, ricamano, e così via. Qui la questione è chiara: in questa visione si manifesta chiaramente un atteggiamento di schiavista nei confronti delle donne, non ancora del tutto superato. Dopotutto, nel Medioevo, la donna era innanzitutto una schiava. Non è forse alla base del nostro atteggiamento verso i bambini un sentimento simile? In ogni caso, è ora di abbandonare l’idea che un bambino debba sempre lavorare e che ogni tipo di attività noiosa e monotona sia adatta proprio a lui! Se il processo di apprendimento delle "basi" è noioso, non dovreste mai imporre queste basi (soprattutto per quanto riguarda gli scacchi o la musica) a vostro figlio: aspettate che sia più grande. Ma se decidete comunque di introdurlo a queste basi, rendetele il più possibile interessanti, vive e attraenti! Il senso di grigia noia dovrebbe essere sconosciuto per un bambino!

In futuro, cercheremo di delineare un piano dettagliato per l'insegnamento delle basi, rivoluzionando completamente questa parte della pedagogia scacchistica. Per ora, ci limiteremo alla seguente conclusione: il processo di apprendimento delle basi si basa sull'immaginazione, ma allo stesso tempo richiede la logica. Pertanto, l’età ideale per un principiante dovrebbe essere quella adolescenziale, e non quella infantile!

III

Inizio a saper combinare, ma perdo sempre di più il contatto con la realtà degli scacchi, cioè con le esigenze del gioco posizionale. — Come imparare le basi.

Il mio primo approccio con le basi del gioco degli scacchi avvenne sotto il segno della solennità. Nella nostra famiglia si nutriva un grande rispetto per gli scacchi, poiché nostro padre, lui stesso un appassionato amante del gioco, ci parlava ripetutamente delle straordinarie bellezze di questa disciplina. Spesso lo pregavo di mostrarmi di cosa si trattasse, ma lui rimandava sempre, dicendo che “è troppo presto perché un bambino così piccolo pensi agli scacchi”. Alla fine, acconsentì, e questo momento solenne fu legato al giorno del mio ottavo compleanno. Ricordo, tuttavia, di essere rimasto un po' deluso, poiché i movimenti della Torre, dell'Alfiere, del Cavallo, ecc., mi sembravano privi di qualsiasi interesse combinativo. Devo notare che, già prima di conoscere gli scacchi, ero molto appassionato di combinazioni in quanto tali, poiché tutti gli sforzi dei miei educatori, e principalmente di mio padre, erano diretti proprio a sviluppare in me il dono combinativo e l'amore per quel mondo di deduzioni scolastiche e intricate sottigliezze ben noto a chiunque abbia mai studiato il Talmud.

La mia delusione, tuttavia, fu rapidamente sostituita da un sentimento di forte curiosità: circa tre settimane dopo la prima lezione, mio padre mi mostrò alcune combinazioni, tra cui il matto affogato (Bianco: Rh1, Dc4, Ce5; Nero: Rh8, Db2, Ta8, pedoni h7 e g7.


1. Cf7+ Rg8 2. Ch6++ Rh8 3. Dg8+ Txg8 4. Cf7#), e circa tre mesi dopo, come ricompensa per i miei successi scolastici, mio padre mi mostrò la partita “immortale" di Andersen, che non solo compresi, ma subito amai profondamente.


Giocando spesso con mio padre, entrai rapidamente nella logica delle combinazioni, ma per lungo tempo le mie conoscenze strategiche rimasero piuttosto limitate. Per caratterizzare il metodo pedagogico di mio padre, mi permetterò di indicare un dettaglio di un certo interesse. Mio padre spesso mi ripeteva che la coppia centrale di pedoni (ad esempio in e4 e d4) doveva essere avanzata fino alla quinta traversa solo con cautela. Sono assolutamente certo che mio padre, essendo un giocatore di livello magistrale, fosse pienamente consapevole dei rischi di natura puramente posizionale legati a un avanzamento troppo rapido: infatti, un tale avanzamento permette spesso un prolungato contenimento (blocco) dei pedoni troppo spinti (ad esempio, pedoni bianchi in e4 e d5; cavallo nero che blocca in e5). Tuttavia, nonostante questa argomentazione di carattere puramente posizionale potesse sembrare utile, mio padre motivava principalmente questa regola con un ragionamento astratto: la posizione dei pedoni su e4 e d4 offre maggiori possibilità, cioè, in caso di necessità, si può giocare sia e4-e5 sia d4-d5.

In questo modo, mi allontanavo sempre più dalla dura realtà degli scacchi e iniziavo a volare con la mente tra le nuvole; mi sembrava sempre di più che non valesse la pena affaticarsi troppo per creare una buona posizione, dato che le possibilità di combinazioni inattese per l'avversario si nascondono allo stesso modo sia nelle buone che nelle cattive posizioni! Ecco a quale conclusione errata sono giunto alla fine...

Prima di passare a criticare il metodo di insegnamento che ho descritto sopra, permettetemi di raccontare alcuni fatti del primo periodo della mia carriera scacchistica.

1) La prima partita che ho pubblicato fu giocata all'età di otto anni e mezzo. Fu stampata sul “Rigaer Tageblatt” e testimonia chiaramente un notevole talento combinativo.

2) Durante il periodo dal 1894 al 1902, in generale, giocai piuttosto di rado e sempre esclusivamente contro scacchisti di prima categoria, ricevendo un vantaggio iniziale. (Sulla validità pedagogica di giocare con un vantaggio iniziale parleremo più avanti, vedi capitolo 8.)

3) Nonostante il mio stile fosse spaventosamente anti-posizionale, gradualmente arrivai al punto che mio padre fu costretto a limitarsi a concedermi solo il vantaggio di un Cavallo. Ciò accadde nel 1902. Nello stesso anno mi recai all’estero. Iniziava così un nuovo periodo della mia carriera scacchistica.

Prima di proseguire con il racconto, facciamo un breve riassunto. Il lettore avrà certamente capito una cosa, e cioè che dal punto di vista pedagogico nella fase iniziale della mia evoluzione furono commessi degli errori; altrimenti, il mio stile di gioco nel 1902 non sarebbe stato così irregolare. Quali furono questi errori?

Cominciamo dall'inizio, ovvero dalla critica della mia primissima lezione. Mi furono "mostrate" le regole di movimento dei pezzi. Era necessario? Ovviamente, dirà il rispettabile lettore, non si può fare a meno di questo. Ed è proprio qui che il lettore sbaglia nel mio caso: questo approccio è fondamentalmente errato. Non si può prendere un bambino che non conosce affatto il gioco e subito travolgerlo dicendogli che la Torre si muove in questo modo, l'Alfiere in quest'altro, che il pedone avanza in modo goffo e lento come una tartaruga, che il Cavallo si muove in modo selvaggio in tutte le direzioni, che la Donna va dove vuole, che la Torre si muove e cattura in linea retta, mentre il pedone si muove in linea retta ma cattura in diagonale, e così via.

Da tutte queste spiegazioni si genera, in fin dei conti, una sensazione di noia: infatti, queste informazioni, ricevute da un principiante, sono puramente formali, prive di vita o di contenuto, e quindi la loro varietà non fa che intensificare il senso di noia... No, le basi non devono essere insegnate in questo modo, ma in maniera completamente diversa. Meno zavorra “formale” e più contenuto: ecco il principio fondamentale! Ma vediamo concretamente come riteniamo opportuno condurre le prime 2-3 lezioni.


Prima lezione:
Familiarizzare con la scacchiera. Il concetto di confine tra Bianco e Nero. Il centro della scacchiera.

Torre: Concetto di orizzontale e verticale. Esercizi e problemi: una Torre bianca (lo studente ha sempre i pezzi bianchi) su e1, un pedone nero su e6. In questa posizione, si dice che la torre "attacca” il pedone. In un'altra posizione, con la torre bianca su h1 e il pedone nero su e6, si richiede: attacca il pedone. Attaccalo di lato. Attaccalo da dietro.

Si pongono una serie di ostacoli: Torre bianca in h1, pedoni bianchi in g2 e h4, Re Bianco in g1, pedone Nero su d6. I bianchi attaccano il pedone muovendo Th1-h3-d3. Viene introdotta una Torre nera, che assume il ruolo di “difensore” del pedone.

Su questa base primitiva, si costruiscono una serie di combinazioni altrettanto semplici. Per esempio: Torre bianca in a1; Torre nera in h8, pedoni neri in c7 ed e5. In quante mosse la Torre bianca può attaccare contemporaneamente entrambi i pedoni avversari? Giochiamo: 1. Ta5 Te8 2. Tc5 Te7. Si prosegue introducendo il concetto di raggiungere la settima traversa. Posizioniamo la Torre bianca in g1, il re avversario in h8, e spieghiamo che il Re cattura in diagonale di una casella. “Invadi con la Torre sulla settima traversa.” Giochiamo:1. Tg7 Rxg7. Diamo allo studente un pedone su h5. “Proteggi il punto di invasione sulla settima traversa.” Giochiamo: 1. h6, e poi 2. Tg7. In questo modo, lo studente passerà con voi un'ora o due senza un’ombra di noia, assimilando non solo diversi concetti necessari ma anche i rudimenti delle combinazioni. Notate che la prima lezione si concentra esclusivamente sull’apprendimento della Torre, mentre i movimenti del Re e dei pedoni vengono menzionati solo di sfuggita. Inoltre, notate come il “gioco”, cioè la combinazione dal vivo, sembri immediatamente sostituire o meglio oscurare qualsiasi aspetto formalistico. La nostra Torre si prepara ad attaccare il pedone dello studente; se lo studente riesce a organizzare una difesa, allora ha “vinto”.

Spero che il lettore capisca il nostro pensiero principale: abbiamo giocato, lottato, combattuto fin dall'inizio, ma non tolleriamo il predominio dei dati formali. Attribuiamo un'importanza decisiva alla prima impressione che lo studente ricava dalla prima lezione. È fondamentale catturare il suo interesse: deve immediatamente sentire che questo è un gioco in cui la vittoria è sia possibile che entusiasmante!

Nello studio della Donna (seconda lezione), è utile introdurre il concetto di doppio attacco, cioè un attacco simultaneo a due pezzi avversari, concetto che in parte abbiamo già accennato nella prima lezione. Anche qui si utilizzano esempi e combinazioni dal vivo, come il seguente: Bianco Dh5, Nero Rf8, Ta7. Spingiamo il Re sulla stessa traversa della Torre (la settima): 1. Dh8+, poi 2. Dh7+ e Dxa7.

Questa combinazione viene variata in diversi modi, ma gli esempi, sia in questo caso sia in altri, devono essere estremamente semplici e necessariamente illustrare una verità strategica, per esempio la verità sul potere di “spostamento” dello scacco orizzontale. (Nel caso appena menzionato, il Re Nero è stato costretto ad abbandonare la traversa in cui si trovava.)

La terza lezione è dedicata allo studio del pedone. Il pedone attacca un pezzo avversario. Il pedone difende un proprio pezzo (con una serie di esempi). Il pedone difende (o crea) un punto di forza.

Un concetto così altamente strategico potrebbe sembrare inappropriato a molti. Tuttavia, la pratica ci ha dimostrato che quella stessa argomentazione "puntuale" (basata sul concetto di punti), che risulta del tutto incomprensibile per un vecchio scacchista tradizionalista, viene assimilata con sorprendente facilità da un principiante! Ad esempio, in un esercizio come il seguente: Bianco: Td3, Cf2, pedone in e4; Nero: Ta8, pedone in e6 — si richiede di creare un punto forte.

Soluzione: 1. e4-e5, creando un "punto" in d6, che può essere successivamente occupato con Cf2-e4-d6. Uno dei miei allievi è riuscito a risolvere questo esercizio senza difficoltà già alla seconda lezione. Il metodo di pensiero puntuale viene assimilato tanto più facilmente quanto prima viene introdotto nella visione e nella pratica dell'allievo.

Se il metodo di pensiero puntuale viene assimilato con relativa facilità, il problema del Cavallo rappresenta una notevole difficoltà per i principianti. E questo ci sembra naturale: l'istinto sano, in una certa misura, si oppone al peculiare modo di muoversi del Cavallo. Certo, esempi scelti con attenzione possono fare molto, e il Cavallo, questo ingegnoso frutto dell'immaginazione umana, alla fine inizierà a sembrare familiare e comprensibile. Tuttavia, l'insegnante dovrebbe evitare esempi troppo complessi, poiché ogni Rösselsprung (in tedesco “mossa di Cavallo”) evidenzia solo la "triste" circostanza che il Cavallo è essenzialmente una figura “immaginaria”, ossia priva di connessione con la realtà vivente.

Buoni esercizi sono i seguenti: Bianco Cg2; Nero Ad6 (muove solo i Bianco): come può il Cavallo catturare l’Alfiere? Lo stesso vale per la posizione: Bianco Cg2; Nero Ad6, pedoni in b5, e5, f5 (al Cavallo bianco è vietato mettersi sotto l'attacco di un pezzo o pedone nemico), soluzione: Cg2-h4-g6-h8-f7xd6

Se l'allievo appartiene a un tipo equilibrato, può cimentarsi senza danno con esempi come il seguente: Bianco Ca1; Nero Tb7, Ab6, Ac6 e pedoni in a5, d3, e3, e4 — catturare l’alfiere in c6 rispettando la stessa regola del precedente esempio; soluzione: Ca1-b3-c1-a2-c3-b1-a3-c4-e5xc6. Se, invece, l'allievo tende a "stare tra le nuvole", è meglio evitare tali esempi.

Non avendo intenzione di proporre in queste pagine un corso di pedagogia scacchistica, ci limiteremo per ora ai seguenti due consigli:

  1. Dopo le prime 2–4 lezioni, l'insegnante deve determinare a quale tipo appartiene l'allievo — combinatorio o non combinatorio. A seconda di ciò, il corso di insegnamento deve assumere un carattere diverso (di questo parleremo più avanti).

  2. Al finale deve essere dedicata molta attenzione sin dall'inizio. La capacità di sfruttare un vantaggio materiale nel finale non deve in alcun modo essere trascurata.


Vai alla
Parte 2