
Aaron Nimzowitsch: "Come sono diventato un Gran Maestro" - Parte 2
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IV
Sulle gioie e i dolori della combinazione
L'errore principale commesso nei miei confronti non risiedeva, naturalmente, nel fatto che le prime lezioni non corrispondessero pienamente a ciò che ora consideriamo ideale per la pedagogia scacchistica. Poiché ero dotato di una vivace immaginazione, lo spirito “formalistico" delle prime lezioni non poteva in alcun modo soffocare in me l'amore vivo per gli scacchi. Molto peggio fu il fatto che mio padre, apparentemente, non volle tener conto del fatto che in me si stava chiaramente sviluppando un'ipertrofia al gioco combinativo.
Una simile ipertrofia deve essere presa in considerazione e contro di essa è necessario adottare delle misure. È del tutto naturale che tali misure debbano avere un carattere di influenza posizionale. Ma in cosa consiste precisamente questa influenza?
Se si alimenta un principiante con diversi ragionamenti di carattere posizionale, il risultato sarà che il fragile organismo del principiante non sarà in grado di assimilare questa saggezza. Potrà forse memorizzare alcune regole, ma il suo intuito posizionale non ne trarrà alcun miglioramento. Eppure, è proprio la presenza di tale intuito che rappresenta il principale indicatore e il sintomo decisivo della guarigione dell'"ipercombinatore".
Si può uscire da questa situazione nel modo seguente. Ricordiamo che alcuni sali minerali, difficilmente assimilabili dall'organismo umano, vengono immediatamente assimilati perfettamente se introdotti nell'organismo sotto forma di composti chimici con altre sostanze (organiche). Faremo esattamente lo stesso: cercheremo di "legare chimicamente" la saggezza posizionale astratta con un insegnamento vivo e comprensibile sugli "elementi". Su questi elementi ho scritto quasi un intero libro: è proprio a loro che è dedicata la prima (e in parte la seconda) parte della mia opera "Il mio sistema" (la terza parte è dedicata al gioco posizionale in forma chimicamente pura).
Non avendo alcuna intenzione di pubblicizzare il mio lavoro, ritengo tuttavia di poterlo consigliare: le tragedie scacchistiche che ho vissuto in gioventù mi danno il diritto di farlo. Vorrei mostrare al combinatore la via per il suo miglioramento posizionale, e credo che nessuno possa biasimarmi per questo. Ah, quelle tragedie! Quegli eterni slanci combinativi, immancabilmente infranti dalla sobrio gioco posizionale di un avversario lucido e a volte poco dotato!
Ma torniamo agli "elementi". Noi chiamiamo elementi la colonna aperta, la settima traversa, il pedone passato, lo scacco di scoperta, il pezzo inchiodato, la catena di pedoni, ecc. Nella prima parte del "Il mio sistema" li analizzo in dettaglio e formulo una serie di leggi per il loro utilizzo sistematico. L'essenza di questo metodo pedagogico sta nel fatto che queste leggi contengono, in modo del tutto impercettibile per lo studente, una certa dose di saggezza posizionale. Spieghiamolo con un esempio.
La regola posizionale secondo cui tutta la lotta essenzialmente si riduce a uno scontro tra due principi, ovvero la tendenza all'avanzamento dei pedoni (espansività) da un lato e la tendenza alla loro blocco dall'altro, risulta poco comprensibile per un principiante, almeno nella formulazione data. È un'altra cosa se presentiamo questa stessa regola in modo tale che tali tendenze appaiano non come qualcosa di autosufficiente, ma come una caratteristica interessante di uno degli elementi (il pedone passato). In questa forma, la nostra regola diventa molto più comprensibile, e la sua assimilazione non mancherà di sviluppare nel principiante il "senso del blocco", e insieme a esso anche un senso posizionale (in seguito, questa regola potrà e dovrà essere ampliata). La nostra semplice legge sul blocco dei pedoni passati afferma quanto segue: il pedone passato avversario deve essere bloccato. Ecco in che senso lo studio degli elementi nella prima parte del "Il mio sistema" può essere utile per il "combinativo".
Se invece il principiante non appartiene al categoria dei combinativi, deve prima di tutto imparare a combinare. A tutti questi principianti proponiamo lo studio del libro "Il Mediogioco" di P. Romanovskij.
V
Il Periodo 1902–1906 – Preoccupazione per gli “elementi”. - Scopro...no, non ancora l’America, ma del mio “eterno nemico” – Il primo serio incontro con Lui e ciò che egli “proclamò” in quella occasione
Nel primo anno del mio soggiorno all’estero giocai intensamente a scacchi, cosa che provocò il forte disappunto di mio padre, il quale insisteva categoricamente affinché superassi un esame aggiuntivo e mi iscrivessi all’università. All’inizio del 1903 mi trasferii da Königsberg a Berlino, dove, tra l’altro, conobbi e successivamente diventai amico di O.S. Bernstein e B.M. Blumenfeld. Giocai molte partite con Blumenfeld, così come con il maestro T. von Scheve e l’americano D.G. Baird. Sebbene fossero tutti notevolmente più forti di me, si trovavano spesso in cattive posizioni, perché a volte riuscivo a trovare combinazioni che a nessun altro sarebbero venute in mente. Tuttavia, perdevo la maggior parte delle partite, poiché, in assenza di possibilità combinative, mi perdevo completamente.
Non avevo direttive posizionali: ad esempio, non mi veniva mai in mente di indebolire le case nere (o bianche) dell’avversario (per poi occuparle) o di prevenire un’irruzione nemica fin dalle radici. Attaccavo con tutte le mie forze, spingevo i pedoni in avanti e preparavo trappole combinative. Riuscivo a cogliere tali trappole con una rapidità sorprendente e le eseguivo con sicurezza, calcolando agevolmente e con audacia fino a cinque-sei o più mosse in anticipo. Ricordo, ad esempio, una partita giocata tra Bardeleben e lo studente Nisniewitsch [qui il testo originale russo riporta erroneamente il nome di Nimzowitsch, si veda "Il mio sistema", diagramma 110], in cui calcolai in meno di mezzo minuto una spettacolare combinazione nella seguente posizione: Bianco: Rg1, Db1, Tc7, Ae4, pedoni a3, b2, g2, h3; Nero: Rh8, Dc5, Tf2, Ch5, pedoni g7, h6; mossa al Nero.
Nel 1904 partecipai per la prima volta a un torneo (il torneo principale di Coburgo) e ottenni il 6º premio. Incoraggiato da questo successo, andai a Norimberga con l’intenzione di “giocare alcune partite con Tarrasch”.
Permettetemi di raccontare qui un piccolo episodio psicologico legato agli scacchi, che avrebbe giocato un ruolo enorme nella mia evoluzione. In una delle partite che giocai si verificò una posizione caratterizzata da una catena di pedoni. Supponiamo che siano state fatte le seguenti mosse: 1. e4 e6 2. d4 d5 3. Cc3 Cf6 4. Ag5 Ae7 5. e5 Cfd7 6. Axe7 Dxe7.
In questa posizione (approssimativamente), fui colpito dolorosamente dall’idea che “puoi giocare 7. Cf3 e puoi giocare 7. f4” e che questa difficile scelta poteva essere risolta solo trovando leggi o regole specifiche per l’utilizzo della catena di pedoni come tale. In altre parole, fui intuitivamente colpito dall’idea che esistono elementi strategici e che stanno, per così dire, cercando il loro ideologo e “legislatore”.
L’idea che potessi essere io tale ideologo non mi sfiorò nemmeno, e in generale quell’episodio non mi sembrò allora né significativo né degno di attenzione. Tuttavia, nel 1904, quando il ricordo di questa piccola e abbastanza innocua storia si era ormai del tutto dissolto, mi accadde quanto segue. Analizzando una mia partita contro W. Hilse (Coburgo 1904) insieme a un certo maestro (il cui nome sarà indicato più avanti), mi resi conto che il mio manovrare le torri dalla colonna “d” alla colonna “h” e viceversa non era affatto giustificato dai dati strategici. All’estrema ala destra la posizione era la seguente: Bianco: Th1, pedone g5; Nero: Th8, pedone g6.
“Avreste dovuto giocare Th6”, proclamò il maestro con tono solenne. “Perché mai – risposi ancora incerto – dopotutto anche la mia mossa Th1-d1 non era male”. A questa mia modesta osservazione seguì una risposta in tono perentorio: “No, dovevate giocare Th6, perché in simili casi si gioca così!” Ricordo chiaramente come quelle parole, che ebbero un’enorme impressione su di me, fecero improvvisamente riaffiorare il ricordo dell’episodio sopra descritto, quello relativo all’altro elemento, la catena di pedoni, e come in quel momento decisi irrevocabilmente: “Esistono leggi e regole per l’utilizzo sia delle catene sia delle colonne, e io, devo trovarle ad ogni costo!”
[Nota: Pare che Nimzowitsch stia rievocando la partita a memoria, in realtà la disposizione delle Torri e dei pedoni era differente.
Al posto della mossa 23. Th2, giocata in partita da Nimzowitsch, fu suggerita 23. Thg1, seguita da 23... Th6 24. Ch5 Rc7, e fu solo dopo 25. Tg6 che "il maestro" pronunciò la frase citata.]
Un dettaglio curioso: il maestro che, seppur in modo del tutto accidentale e involontario, diede comunque l’impulso decisivo affinché io, alla fine, rivoluzionassi la strategia scacchistica e abbattessi lo stile pseudoclassico, non fu altri che lo stesso Tarrasch, ossia proprio il leader di quella corrente destinata, grazie alle mie ricerche, a essere messa da parte. In altre parole, con una sua affermazione piena di autorità, Tarrasch finì per scavarsi da solo la fossa!
Se già all’epoca percepivo Tarrasch come un mio avversario, tuttavia non lo sentivo ancora come il mio "eterno nemico". Ma il nostro rapporto si sarebbe presto fortemente inasprito. Accadde così. Due mesi circa dopo l’episodio del "Th6", Tarrasch mi onorò della possibilità di giocare con lui una partita seria (vedi la numero 3 nella sezione partite). L’apertura la giocai, come al solito, in modo piuttosto strano, in parte perché, come già accennato, a quel tempo avevo una comprensione molto limitata del concetto di "posizione", e in parte perché già allora evitavo consapevolmente le strade battute, nutrendo un certo scetticismo verso i dogmi della scuola dominante dell’epoca.
Si radunò un folto pubblico (nonostante la partita fosse informale), poiché, conoscendo la mia ricca fantasia combinativa e scambiandola erroneamente per forza scacchistica, questo pubblico si aspettava, se non una lotta alla pari – dato che Tarrasch era allora al culmine della sua fama – almeno una partita interessante e ricca di contenuti. Dopo la decima mossa, Tarrasch, incrociando le braccia sul petto, pronunciò improvvisamente questa frase: "Mai in vita mia, dopo la decima mossa, mi sono trovato in una posizione di vantaggio così evidente come in questo caso." La partita, tuttavia, si concluse con una patta. Ma l'“offesa” che mi fu inflitta davanti a tutti i presenti non riuscii a perdonarla a Tarrasch per molto tempo.
Ben presto, la partita fu pubblicata, con grande disappunto di Tarrasch, che considerava tale pubblicazione quasi un crimine. Va detto, però, che non fui io a pubblicarla, ma un certo von Parish, e ciò avvenne contro la mia volontà. Ma il fatto è che da quel momento diventammo nemici e rimanemmo tali fino al 1907. Racconterò più avanti un episodio curioso e molto caratteristico riguardante la nostra riconciliazione. Per ora, dichiaro che, se non fosse stato per il sentimento di ostilità nei confronti di Tarrasch, non avrei mai imparato davvero a giocare a scacchi. Giocare più forte di Tarrasch – ecco la formula che racchiudeva tutte le mie aspirazioni nel periodo 1904–1906. A tutti i miei lettori posso dare un consiglio utile: Se volete ottenere risultati, sceglietevi un... eterno nemico e cercate di "punirlo facendolo cadere dal suo piedistallo".
Ritengo, tuttavia, necessario aggiungere quanto segue: sebbene il sentimento di ostilità verso Tarrasch fosse stato inizialmente suscitato da motivi personali, esso si alimentò successivamente non più da questi (non abbiamo mai più litigato dal 1904), ma dal profondo antagonismo ideologico che sentivo così nettamente fin dall’inizio della nostra conoscenza.
Per me, Tarrasch era sempre stato un mediocre: giocava sicuramente in modo molto forte, ma tutte le sue idee, le sue simpatie e antipatie, e soprattutto la sua incapacità di creare un pensiero nuovo, dimostravano chiaramente la mediocrità della sua personalità. Io, che adoravo il genio, non potevo assolutamente accettare il fatto che il leader della scuola dominante fosse un mediocre! Questo fatto mi indignava!
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