
Aaron Nimzowitsch: "Come sono diventato un Gran Maestro" - Parte 3
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VI
Il fiasco a Barmen nell'agosto del 1905 come ultimo e decisivo stimolo: finalmente mi metto al lavoro! (1906)
All'inizio del 1905 partecipai al torneo di Vienna (1º Schlechter, 2º Wolf; io arrivai 6º su 10 partecipanti, superando Albin, Neumann e altri). Il mio gioco destò una certa impressione (vedi numero 4 e 5 nella sezione partite). Lo stesso accadde nel successivo match contro Spielmann (+4 -4 =5), e iniziai a immaginare seriamente di poter presto conquistare il titolo di maestro. Tuttavia, non tenni conto del fatto che i miei nervi si erano logorati durante il mio soggiorno all'estero.
Il continuo vagabondare tra i caffè scacchistici, la vita irregolare e la completa assenza di un lavoro strutturato avevano avuto un effetto molto negativo sul mio sistema nervoso. Giocavo in modo impulsivo, prediligendo attacchi rapidi e aggressivi, come ai tempi della mia gioventù, ma senza ottenere buoni risultati.
Ad agosto del 1905 partecipai al Torneo B di Barmen e... fallii miseramente (+3 -8 =6). All'epoca consideravo questa disfatta come una grande tragedia personale. Oggi, invece, sono convinto che questo fallimento sia stato la mia "salvezza da una situazione quasi senza speranza". Senza questa fatidica "mossa salvifica", la mia situazione sarebbe stata presto catastrofica. Ferito dal trattamento sprezzante riservatomi dai critici nel resoconto del torneo di Barmen, decisi di abbandonare la vita nei caffè scacchistici, prendermi cura dei miei nervi e poi dedicarmi seriamente al lavoro scacchistico.
Mi misi al lavoro nella prima metà del 1906 a Zurigo, dove mi iscrissi come studente universitario (il punto è che riuscii a presentare, oltre al diploma di scuola superiore vero e proprio, che da solo non sarebbe bastato, una lusinghiera recensione di uno degli insegnanti della mia scuola, in cui assicurava che avevo notevoli capacità matematiche). Dopo due o tre mesi di studio diligente, feci enormi progressi. Consideriamo: 1) i fattori psicologici di questo successo, 2) il piano di studio.
Attribuisco i miei miglioramenti non solo al mio talento combinativo, ma anche all’amarezza per l’insuccesso di Barmen, all’antipatia per Tarrasch e al desiderio radicato di esplorare gli “elementi”, come descritto nel capitolo precedente.
Una prima analisi delle partite giocate a Barmen rivelò che la mia principale debolezza era la scarsa preparazione nelle aperture (non conoscevo una difesa contro 1.d4). Un’analisi più approfondita mostrò che non possedevo l’arte di consolidare la mia posizione. Questo è evidente, ad esempio, nella mia partita contro Forgács (numero 7), dove giocai sui lati in modo completamente antiposizionale.
In quel periodo, fu pubblicato il libro del torneo di Norimberga del 1906 con le note di Tarrasch. Ne acquistai uno e lo diedi al rilegatore, chiedendogli di inserire un foglio vuoto ogni due pagine di testo. Successivamente, analizzai alcune partite, specialmente quelle di Salwe, Duras, Forgács e del grande Michail Cigorin con il Nero. Annotavo immediatamente i risultati delle mie analisi sulle pagine bianche. “Giocavo” le partite una volta col Bianco e una volta col Nero, cercando dapprima di trovare io stesso la miglior mossa, per poi confrontarla con quella effettivamente giocata. Ogni partita richiedeva almeno sei ore. In questo modo ho studiato il consolidamento In una partita di Salwe, si presentò una tipica posizione con un pedone di Donna isolato: Bianco: Cf3, pedone d4; Nero: Cd7, pedone e6 (entrambi con molte altre figure). Mi resi conto che il Bianco non aveva bisogno di affrettarsi a occupare la casa e5 con il Cavallo. Dopo qualche mossa, il Cavallo nero si spostò verso d5, lasciando e5 al Bianco senza alcuno sforzo.
Annotai subito questa osservazione sulle pagine bianche, non solo come un principio scacchistico, ma anche come una lezione psicologica: “Spesso le case si liberano da sole!”, “Non avere fretta.”, ecc.
E allo stesso tempo, ascoltavo con un certo ansioso interesse i minimi “fruscii” delle linee aperte, della settima traversa e dei pedoni passati. Fu in quel periodo che scoprii il concetto del “avamposto sulla linea aperta”, (vedi Il mio sistema). Ma il mio piacere più grande è stato quello di dimostrare l'erroneità e spesso la superficialità generale delle opinioni contenute negli appunti di Tarrasch. Da questo ho imparato molto.
Curiosamente, non ho mai analizzato le partite di maestri dello stile aggressivo, come Spielmann, Marshall o Leonhardt. Anche le partite di Tarrasch mi sembravano completamente inadatte a migliorare il mio stile.
Il risultato del mio impegno fu il seguente:
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Elaborai un piano dettagliato per la difesa contro 1.d2-d4, basato su 1...Cf6 e 2...d6 (seguendo le orme di Cigorin).
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Mi abituai a giocare in uno stile lento e attendista. Mi sembrava ormai incomprensibile come avessi potuto, in passato, giocare in modo impulsivo, senza un calcolo preciso (ahimé, lo feci spesso a Barmen!).
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Un risultato significativo, ottenuto grazie a un’attenta analisi di alcune partite, fu l’acquisizione di una comprensione più profonda della strategia nelle partite chiuse, in particolare dei principi legati alle catene pedonali e, in parte, alla centralizzazione.
Mettiamo da parte il fatto che sto parlando di me e consideriamo invece un qualsiasi giocatore combinativo, il cui talento non sia ancora maturato. Si può consigliare a questa persona il metodo di auto-miglioramento che adottai nel 1906?
Per rispondere a questa domanda, bisogna prima riconoscere una differenza fondamentale. Nel 1906, le condizioni di studio erano molto più difficili rispetto alla nostra attuale epoca, caratterizzata da un fiorire della pedagogia scacchistica. Allora, nel 1906, bisognava scoprire da soli i principi posizionali, mentre oggi, grazie anche alle mie ricerche (Il mio sistema e La pratica del mio sistema), questi principi sono già stati formulati. Non solo gli “elementi” sono facilmente accessibili a chi studia, ma concetti come centralizzazione, blocco, profilassi, e altri, sono chiaramente definiti e supportati.
Tuttavia, il metodo che applicai nel 1906 può essere ancora oggi utilmente raccomandato. Immaginiamo un giovane con doti combinative che analizza lentamente, mossa per mossa, una partita di Capablanca. Supponiamo che incontri una posizione in cui “arde d'impazienza” di scoprire quale delle possibili continuazione offensiva sia stata preferita: guarda e scopre che Capa ha giocato una mossa apparentemente passiva. Il giovane rimane sorpreso, forse addirittura sconvolto, ma con un’analisi più approfondita capisce la forza nascosta di quella mossa. La stessa sensazione è prodotta da una mossa puramente manovriera (invece della prevista mossa d'attacco).
Questa “sensazione” (o “shock”), secondo me, ha un enorme valore pedagogico. Per quanto si possa spiegare la centralizzazione a un giocatore combinativo, questi continuerà comunque a cercare di giocare sui lati. Invece, il “metodo delle sensazioni” (così lo chiameremo d’ora in avanti) può influenzare in modo decisivo sul suo stile di gioco. Perciò, oltre allo studio del “Il mio sistema”, proponiamo il metodo delle sensazioni come un antidoto efficace contro la superficialità del proprio stile combinativo.
Oltretutto: l'arte del consolidamento dipende direttamente dallo stato dei nervi e dall'equilibrio del carattere. Il miglior consolidatore di tutti i tempi deve essere riconosciuto in Capablanca (egli ha portato l'arte della manovra profilattica ad un'altezza senza precedenti). Ma Capa è uno sportivo, una persona priva di nervosismo, un uomo con dalla psiche perfettamente equilibrata. Da qui il nostro consiglio al giocatore combinativo: pratica sport, fai lunghe passeggiate all'aria aperta, respira profondamente, cerca di rimanere calmo, fai ginnastica secondo il metodo Müller, e così via.
Siamo infatti convinti che il defunto Schlechter avesse ragione quando affermava che ogni giocatore combinativo, con un approccio adeguato, può diventare un maestro di prima categoria. Ciò è tanto più vero ai nostri giorni (Schlechter espresse questo pensiero già nel 1905, nonostante la pedagogia degli scacchi allora dormisse ancora beatamente nella culla), poiché ora stiamo chiaramente vivendo un'epoca di fioritura della pedagogia scacchistica. Talento combinativo, più strumenti didattici, più un approccio corretto (equilibrio psichico!) non possono che portare alla forza di un maestro.
D'altra parte, anche le persone poco portati alle combinazioni, possono sviluppare il loro talento combinativo. Dopotutto, si può vivere anche senza combinazioni. John [Walter John], ad esempio, pur non avendo fantasia, è comunque diventato un maestro molto forte.
VII
I risultati si vedono: sto diventando un maestro – Sulla tregua con Tarrasch (1907) e su ciò che seguì a questa “tregua”(dal 1907 al 1914).
La mia prima partecipazione - nel novembre 1906 a Monaco - fu subito coronata da un grande successo: in un torneo a doppio turno con la partecipazione dei maestri Spielmann, E. Cohn e Przepiórka (oltre a loro parteciparono anche Elyashov e Kirschner), conquistai il 1° premio con 8½ punti su 10, distaccando il secondo classificato di ben 2 punti. Il mio gioco non si distingueva solo per solidità (vedi la partita contro Cohn, n. 11), ma brillava anche per la ricchezza di idee (vedi n. 12). Ricordo, ad esempio, l'inizio della partita contro Elyashiv (avevo il Nero): 1. e4 e5 2. Cf3 Cc6 3. Ab5 Cd4 4. Cxd4 exd4 5. f4?. Qui mi è venuta in mente la seguente manovra alla scacchiera: 5... Dh4+ 6. g3 De7 7. 0-0 Dc5! Seguì: 8. Ad3 h5 9. Rg2 d5 10. exd5 Cf6! con un gioco promettente (vinsi abbastanza rapidamente).
[Nota: Anche qui i ricordi di Nimzowitsch sono poco nitidi, Elyashiv giocò exd5 all'11ª mossa, mentre egli giocò Cf6 alla 17ª mossa , riporto di seguito l'intera partita ]
All'inizio del 1907 partecipai al torneo dei maestri a Ostenda. Tarrasch giocava nel torneo dei campioni. Ci incontravamo ogni giorno al caffè, ma, nonostante i miei sforzi, Tarrasch non mi notava affatto, cioè ignorava completamente la mia esistenza. Io, nel frattempo, proseguivo il mio cammino vittorioso: nelle prime due settimane raccolsi 7½ punti su 9. E all'improvviso accadde un miracolo: Tarrasch riacquistò la vista! Quel giorno avevo battuto E. Cohn; entrai nel caffè e Tarrasch era già lì. Non feci in tempo a entrare che Tarrasch mi si avvicinò rapidamente, sorridendo gioiosamente e tendendomi le mani: "Finalmente vi incontro! Sono così felice dei vostri successi! Non mi mostrereste alcune delle vostre partite? Ah, come sono felice dei vostri successi!!"
Ecco quindi il puro opportunismo: schiacciare i deboli e adulare i forti! In quel momento ho percepito con estrema chiarezza la mediocrità della natura di Tarrasch.
La ricerca di nuove strade, iniziata già a Barmen e a Coburgo, con il miglioramento della mia tecnica di gioco, si era così a dire posta su una base più solida. Se gli esperimenti d'apertura che provai a Barmen (ad esempio: 1. c4 c5 2. Cc3 g6 3. e3 Ag7 4. Cf3 Cf6 5. d4 cxd4 6. exd4 0-0 7. Ae2 Cc6 8. d5 Cb8 con la successiva occupazione della casa c5 - partita Caro-Nimzowitsch) fallirono allora per mancanza di tecnica adeguata, ciò non accadde negli anni successivi.
Nel 1907 iniziai a giocare con il Bianco: 1. Cf3 d5 2. d3 e, se 2...Cc6, allora 3. d4, con una posizione imbarazzante per il Cavallo nero che ostacola l'avanzata c7-c5. Nel 1910, sfidando apertamente Tarrasch, iniziai chiaramente a preferire posizioni chiuse, ad esempio la variante Hanham e simili.
La sfida fu accettata e, da quel momento, Tarrasch iniziò a perseguitarmi in modo spietato sulla stampa. I suoi epiteti preferiti nei miei confronti erano: "hässlich", "bizarr" (modo di giocare brutto, strano e bizzarro!), ecc. Ora tutto questo mi sembra ridicolo, ma allora mi ha rovinato il sangue!
Nel 1912 quasi vinsi il torneo dei Grandi Maestri a San Sebastián (in realtà, a causa del nervosismo, persi la partita decisiva contro Rubinstein e dovetti accontentarmi di condividere il 2°/ 3° posto con Spielmann). Tarrasch non perse occasione di commentare malignamente: "Sarebbe stato scandaloso se un gioco così antiestetico fosse stato premiato!".
Continuai a minare la "solida" (?) posizione di Tarrasch: la variante 1. e4 c5 2. Cf3 Cf6!, o il tentativo di rivalutare una vecchia variante: 1. e4 e6. 2. d4 d5 3. e5 - Tutto ciò indeboliva lentamente ma inesorabilmente la posizione del campione di Norimberga. Introducendo la variante con 3. e5, mi proposi l'obiettivo di "ridurre fino all’assurdo" la vecchia concezione del centro. Nel 1912 pubblicai le mie partite contro Salwe (1911) e Tarrasch (San Sebastián 1912), cercando di dimostrare che la vecchia concezione del centro di Tarrasch era superata. Lottando da solo contro tutto il mondo scacchistico, creai una nuova concezione del gioco, una nuova scuola, un nuovo gioco.
Nel 1913 scoprii un piano di gioco che divenne poi molto popolare: 1. d4 Cf6 2. c4 e6 3. Cc3 Ab4 - senza d7-d5; oppure 1. d4 Cf6 2. c4 e6 3. Cf3 b6, anche qui senza d7-d5. Con questo la posizione di Tarrasch come maestro universalmente riconosciuto della saggezza scacchistica venne definitivamente demolita.
VIII
Il trionfo delle mie idee e i successi da Grande Maestro (1923-1929) - Alcuni consigli finali.
Dopo la fine della guerra, la correttezza delle mie idee rivoluzionarie in ambito scacchistico venne universalmente riconosciuta. Le varianti, che al momento della loro invenzione sembravano così strane e bizzarre, a poco a poco acquisirono diritto di cittadinanza. Al contrario, la teoria di Tarrasch (sul centro aritmetico, sul rapido sviluppo, ecc.) facevano ormai sorridere.
Parallelamente, ottenni successi pratici ancora maggiori, che mi valsero il titolo di Grande Maestro. Tuttavia, considero il mio più grande successo non i primi premi a Marienbad 1925, Londra 1927 e Berlino 1928 (in questi ultimi due tornei superai Bogoljubov), ma il primo premio a Dresda nel 1926, dove totalizzai 8½ punti su 9, distaccando Alekhine di ben 1½ punti! Ritengo che a Dresda abbia giocato le mie migliori partite.
Quasi tutto è stato detto, e potrei con coscienza pulita passare alla sezione delle partite; tuttavia, vorrei dire ancora qualche parola sugli “elementi” (cioè sulla loro definitiva elaborazione).
Avendo percepito una “preoccupazione” per questi già nel 1902 (vedi cap. V), a lungo non riuscii a superare le enormi difficoltà che mi si presentavano. Alcuni elementi, come l’idea dell’avamposto e una nuova comprensione della catena pedonale, furono concepiti da me nel periodo 1911-1913.
Ma poiché ogni nuovo sistema richiede, oltre all’intuizione, anche uno sviluppo dettagliato, la creazione definitiva del mio sistema va collocata nel periodo 1917-1923. È infatti vera la massima discendo discimus (“insegnando, impariamo noi stessi”). Lo stesso accadde a me: dal 1917 iniziai a dare lezioni di scacchi, attenendomi rigorosamente alla direzione da me scelta, ovvero l’insegnamento sugli elementi. Così accumulai una grande quantità di dettagli necessari riguardanti la settima traversa, il pedone passato, ecc. Dopodiché, nel 1925, potei finalmente iniziare a esporre il materiale raccolto nel libro Il mio sistema.
Curiosamente, la conoscenza dettagliata degli elementi mi diede moltissimo in termini di comprensione e scomposizione di complesse problematiche posizionali, poiché si è scoperto che persino le idee posizionali più intricate si ritrovano, in scala ridotta, nei più semplici elementi.
Prima di concludere, vorrei dare alcuni consigli.
Affrontate gli scacchi con serietà. Comprendete che lo studio approfondito di un singolo elemento è molto più efficace per sviluppare la vostra intuizione posizionale rispetto a una conoscenza superficiale di tutti gli elementi. L'analisi di un elemento racchiude un grande “valore posizionale."
Riguardo al gioco con il vantaggio di un pezzo: chi dà il vantaggio rovina il proprio stile di gioco; ma uno scacchista che gioca anche partite di torneo può occasionalmente farlo senza danno. Chi riceve il vantaggio ha torto a inseguire automaticamente la semplificazione. Ma giocando sulla difensiva e usando il metodo della semplificazione come uno dei tanti possibili modi di difendersi, farà sicuramente progressi.
Giocare solo partite “facili” rovina lo stile di gioco. Tuttavia, se alternate a partite serie, sono accettabili.
Cercate di memorizzare il minor numero possibile di varianti! Il senso posizionale deve diventare il vostro liberatore dalla schiavitù delle “varianti”. Pertanto, sviluppate questo senso posizionale! Giocate le partite in modo accurato e metodico.
Ancora più importante è l’analisi! Analizzate con un compagno (leggermente più forte di voi) l’apertura che vi interessa. Ma il vostro lavoro analitico non deve esaurirsi alle aperture: analizzate anche diverse posizioni tipiche, ad esempio posizioni in cui uno dei giocatori ha un Cavallo per due pedoni, o partite (in fase di mediogioco) in cui i vantaggi sono distribuiti così: uno ha un attacco sul lato, l’altro gioca lungo la linee centrali. Capablanca lavora esattamente in questo modo: analizza costantemente, concentrandosi su posizioni tipiche. Capa conosce un'enorme quantità di tali posizioni (principalmente nell'ambito del finale di Donna e Torre).
Ma non raccomandiamo mai agli studenti di affrontare contemporaneamente troppi “tipi” di posizioni. Un’analisi simultanea di posizioni diverse genera solo confusione mentale, mentre uno studio approfondito di un solo tipo porterà sicuramente a un miglioramento delle conoscenze posizionali.
Se vi dedicherete a studiare – con la massima intensità possibile - le posizioni, diciamo, del tipo “linea centrale contro attacco sul fianco” , non mi sorprenderà se scoprirete una maggiore chiarezza di giudizio anche in altre fasi del gioco, ad esempio nel finale. Studiare un particolare tipo di posizione ha lo scopo non solo di approfondire quella posizione specifica, ma anche di migliorare il senso posizionale in generale!
Credo nel potere radioattivo di questo metodo: tutto l'organismo scacchistico sembra risvegliarsi e gioiosamente aspetta un rinnovamento. Non solo si rafforza l'intuizione posizionale, ma il miglioramento più caratteristico è forse il fatto che lo studente, che prima inseguiva fantasmi (ad esempio, fantasticando costantemente attacchi di "matto"), inizia improvvisamente a prendere in seria considerazione la realtà degli scacchi (come illustrazione vedi la partita n. 11).
Pertanto, raccomandiamo:
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Giocare approfonditamente un numero limitato di partite
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Studiare approfonditamente gli elementi (secondo il libro Il mio sistema).
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Studiare approfonditamente un piccolo numero di posizioni tipiche attraverso un’analisi esaustiva.
Riassumendo: è essenziale un approccio serio alla questione!
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